lunedì 31 agosto 2009

idiosincrasie. parte prima

Io odio. Me ne accorgo di più quando sto con mia mamma, che invece non odia nessuno, al massimo compatisce. La abbraccio appena scesa dal treno, e mentre stiamo ancora attraversando il sottopassaggio ho già iniziato: "Sai chi mi sta veramente sul culo?"
Cercherò di riassumere, per spiegarmi a me stessa. Di solito le mie idiosincrasie si sviluppano singole, chissà che a disporle tutte assieme, tutte vicine, non si riesca poi a tratteggiare un ritratto, a unire i puntini e a scoprire qualcosa che non so. (ovvio: se quello che scopro è brutto cancello il post, ci metto niente)
Io odio: i ciccioni, i grassi, gli obesi giganti. Perchè mancano di autocontrollo, perchè non vogliono essere felici, perchè sono brutti e informi, perchè non hanno disciplina e si inventano i disturbi ghiandolari. Sottocategoria che odio ancora di più: i bambini ciccioni. I bambini non possono essere grassi: i bambini corrono, giocano, metabolizzano. Devono avere le ginocchia aguzze e i gomiti sbucciati. Non possono essere farciti come tacchini. Odio i bambini ciccioni non solo perchè sono innaturali e sgradevoli da vedere, anche perchè sono antipatici. Di solito il sovrappeso li induce a sentirsi diversi, a restarsene un po'isolati o a svillupare sentimenti di invidia, timidezza saccente... Gli unici ciccioni che apprezzo sono i vecchi.
Io odio: gli studenti di Bologna, ma non tutti, nello specifico odio la fauna che popola il 36 e bivacca in piazza verdi. Li odio perchè sono vuoti e truccati, perchè sono tutti talmente diversi da finire inevitabilmente tutti uguali, perchè sono politicizzati e non sono capaci di lavorare, perchè occupano e "reclamano reddito", ma l'affitto lo pagano i genitori e poco importa se per occupare e partecipare alle manifestazioni l'università finisce per durare dieci anni. Li odio perchè non dicono niente, perchè sono gentili e amici di tutti e invece io li odio e loro mi odiano, perchè ascoltano tutti la musica "giusta" e non sono capaci di essere se stessi. Li odio soprattutto perchè si prendono sul serio. E perchè non capiscono le mie battute, e mi guardano strano se ascolto Tiziano Ferro (la Carrà invece ora va bene, sarà un annetto che ha iniziato a reinserirsi nella "musica giusta"). Li odio perchè sono prevedibili e anonimi, nonostante tutti i loro sforzi per emergere.
E poi? Ah sì, poi odio le commesse delle profumerie, i loro atteggiamenti da sacerdetosse. Loro sono le vestali della suprema conoscenza estetica e cosmetica, tu che gli domandi il prezzo del flacomincino piccolo di Bulgari sei e rimarrai per sempre l'ultimo e il più volgare dei mortali. Odio.
Odio tutte le ex dei miei passati, presenti e futuri ragazzi/morosi/mariti (?). E' una campagna che porto avanti da sempre. Loro sono il male, le nemiche, specie se hanno più tette di me. Ringhio quando le vedo passare, e poi a casa improvviso una makumba per esorcizzare la loro presenza. Odio Blerina, la mia ex coinquilina albanese... ma questa storia sarebbe veramente troppo lunga.
Odio le persone che, mentre sto fumando, mi ricordano che fumare fa venire il cancro, la scabbia, i denti gialli e soprattutto la morte. Sono indelicate e inopportune.
Odio le ragazze del sud che devono fare per forze le ragazze-del-sud, e ballano la taranta a piedi nudi e scuotono i ricci selvaggi, e cucinano impastandosi ben bene le mani perchè essendo del sud sono automaticamente passionali e carnali, e quindi visceralmente legate alla terra e alla materia, madri primordiali che plasmano e infornano. Non se ne può più. Odio anche il Salento tutto e la pizzica. Qualche anno fa del Salento anche me ne fregavo, a mala pena sapevo dove fosse, e la pizzica non mi disturbava. Poi è iniziata la colonizzazione, l'infestazione, non c'è stata più festa estiva senza annesso gruppetto di saltellatori idioti (che sono gli stessi del 36, e ovviamente si scuotono a casaccio con la destrezza che non hanno mai), non c'è compagnia di giovani-alternativi-bene che non abbia fatto le sue brave vacanze in Salento. Veramente non se ne può più.
E ora abbandono il post, riprenderò la prossima volta. Il ritratto è ancora lungo a venire.

giovedì 6 agosto 2009

pomeriggio qualunque

A gambe incrociate seduta sul pontile, sulle assi di legno caldo e ruvido. Sotto il pontile solo l’acqua e i pesci. Loro sono snelli e impossibili: blu, giallo e arancio, grandi rispetto agli altri che abitano vicino alla spiaggia. Il ragazzo egiziano li chiama pesci pappagallo e sembra sicuro di quello che dice. Mi fido. Dall’alto li guardo nuotare e sbattere morbidi contro le onde. Aspettano la spinta del mare, la cercano, e quando arriva frullano veloci le pinne squillanti che sembrano ali, si girano paralleli alla cresta dell’onda e si fanno trascinare via un po’più in là. Credevo che i pesci non avessero sentimenti e invece loro sembrano divertirsi. Dovrei chiedere informazioni: i pesci pappagallo sono felici o stanno solo cercando da mangiare? Penso che aggiungerò questo momento alla mia collezione di tempo perduto, e mentre lo penso mi accorgo che forse i pesci non stanno giocando. Forse questo continuo farsi scivolare lontano e recuperare è solo il loro modo di vivere, e tra me e loro non c’è poi quella distanza che immaginavo. Stiamo facendo la stessa cosa: passiamo il nostro tempo e ci lasciamo frangere addosso l’acqua e l’aria e il vento che mi fuma le sigarette. Chiacchiero con un dipendente di Intesa SanPaolo. Mi spiega che i pesci pappagallo sono altri, brucano con il muso la barriera corallina. Ho sbagliato a fidarmi dell’egiziano, e ora non so più cosa sto guardando.