sabato 10 gennaio 2009

L'automobile

L’automobile è un isola asciutta in un mondo bagnato. Sono giorni che piove, e nonostante i pantaloni inzaccherati sono ancora contenta. E’ fastidioso ma fa bene. Sono seduta in macchina già da un paio d’ore, tutta stretta nel cappotto zafferano, la testa insaccata nella sciarpa. Attorno a me il parcheggio del distributore AGIP, furgoni in entrata e in uscita, operai che camminano guardandosi le scarpe, le facce incattivite dal freddo. Pochi passi per arrivare al Bar Ristoro, tappezzato all’interno dalle stampe ingiallite dei successi Ferrari. Ci sono già entrata per un caffé, ma non mi sentivo a mio agio e ho preferito tornare in macchina. Devo aspettare che Riccardo finisca il colloquio di lavoro, una prima selezione organizzata dall’agenzia in un palazzone fuori Modena. Dietro ai finestrini rigati di pioggia, oltre al palazzone, c’è solo un camion ungherese che sta manovrando, il Bar Ristoro grigio, sporco e giallo, e l’imbocco dell’autostrada. A tratti lo scricchiolio dell’acqua sul parabrezza si fa più intenso, schiacciante. Mi circonda. L’automobile è diventata la mia navicella, uscirne credo sia impossibile. Si è trasformata in un sottomarino, è una sonda infilata nell’umore del mondo, per poterlo spiare mantenendo una distanza impermeabile. Verso l’autostrada il traffico si rincorre in gorgoglii infiniti. Il rumore della pioggia sembra più reale, ma ogni tanto scompare sotto il muggito rugginoso dei TIR. Il cielo grandissimo è biancastro, ricorda quelle pareti lasciate a insudiciarsi e a invecchiare senza mai una mano di bianco.
Vicino al palazzone ci sono degli alberi: alcuni scuotono attorno le foglie rimaste appese ai rami. Li guardo attraverso il vetro deformato dall’acqua, dove le gocce sembrano affondare in una specie di superficie-pozzanghera, molle come plastica, e i profili delle foglie appaiono ancora più sgranati. Altri alberi sono già completamente spogli. Sono belli, neri e magri, impassibili. Senza foglie sembrano agitarsi molto meno. Credo che mi piacerebbe perdere le foglie: assecondare il vento che le strappi via una a una, osservarle dall’alto marcire nei tombini. E poi starsene muti e forti a trascorrere l’inverno, senza doversi preoccupare di sopravvivere. Sarebbe consolante. Gli alberi nudi come tanti asceti coscienziosi, finalmente affrancati da bisogni e passioni, monumenti di atarassia silenziosa e modesta. Dev’essere un sollievo lasciar frullare a terra l’ultima foglia.
Mentre penso a queste cose l’abitacolo s’è raffreddato. Riapro il libro e sempre più immobile continuo a leggere Proust.

2 commenti:

Paolo Franchini ha detto...

Ciao,

mi piace quello che scrivi.
Certo che ci si vede nel 2009.
Salutami Riccardo,

ciao,

Paolo

antonio lillo ha detto...

dio, non ci posso credere che hai cancellato il mio commento!!! ma perchè? che ti ho fatto di male!!! :-(




noooo! sto scherzando, brava! mi piace tuo nonno, sembra simpatico e come ti dicevo non capisco come tu faccia a leggere proust in macchina! sei fenomenale!

delle foto la mia preferita è quella col tacchino! molto sexy;-) e mi piacciono anche i tuoi copricapi! la sai una cosa buffa? alla tua età ne portavo anch'io avevo una vera e propria collezione... poi ho smesso di portarli proprio quando ho cominciato a perdere i capelli! non è strano? :-)

ah, un'altra cosa divertente... se vai sui motori di ricerca e digiti: l'innocenza del male + antonio lillo... la prima pagina che ti esce è quella della casa editrice con la copertina del libro e l'indicazione di prossima uscita... subito dopo viene un tuo commento sul mio blog che inizia con le precise testuali parole: "l'inniocenza del male fa schifo!" non è buffo e assurdo? ;-D

fino alla prossima ciao!