Le zie sorridono e sembrano molto sincere. Sulla tavola di legno sbocciano da sotto i tovaglioli di carta le torte alla frutta. Si scoprono una dopo l’altra fiammeggiando scintille di confettura e colorante. Non sono molto grandi ma sono cinque, rosse e violacee come fiori laccati. I complimenti di rito, la stupefazione delle bocche allungate, la nonna vestita di nero sta già puntando i pasticcini, distratta poco o nulla dalla primavera della crostata. Anche gli zii sono sinceri: si addossano ai muri e aspettano il piatto di carta. Sorridono perché al taglio della torta è giusto che si sorrida, ma il sorriso gli viene male ed ha sicuramente meno denti di quello delle zie.
Tutto è talmente pronto che sarebbe facile non accorgersi della sua assenza. Ma la famiglia è una buona famiglia, e io mi offro per andarlo a cercare.
Lui ha quattordici anni e questi cinque anemoni di ribes e fragole sono il suo compleanno. Dalla taverna salgo le scale fino all’appartamento e lo trovo in camera. Lui è in piedi nella stanza dipinta di blu e azzurro, volta le spalle alla porta. Si gira e mi saluta ma continua a suonare. Sul letto e per terra stanno accampati i cugini più piccoli. Ce n’è uno grassoccio e occhialuto con in mano un paio di bacchette da batteria trovate chissà dove, che in casa sicuro una batteria non c’è. Un altro, non avrà più di sei anni, batte le mani sulla sedia di plastica verde. Il fratello minore è seduto su un letto ingombro di pupazzi, soffia timido dentro il clarinetto. Tutti a modo loro stanno suonando, o almeno provando a suonare. Lui non li guarda. E’ fermo davanti alla tastiera e alla finestra aperta. Osserva le nocche delle sue mani aprirsi e richiudersi sulle note che non sa leggere, ma che corrono in cerchio ancora una volta ancora una volta e più veloce di prima, contratto e dimentico ad un tempo. E’ il suo quattordicesimo compleanno ed è solo e accerchiato da una tribù di bambini che probabilmente non lo capiscono più, ma non se n’è ancora accorto o forse non gli interessa. Tutta la domenica a scorrere i tasti con la pazienza e il nervosismo del predatore. Aspetta insegue e riprende, ricominciare da capo, rilassarsi e ricominciare, più veloce. Scende a pranzo e poi risale per piantarsi dritto davanti alla tastiera mentre il vento entra lento nella stanza, e gli muove attorno la tenda come una medusa. Lui continua a darmi le spalle, dalla finestra aperta si spande tutto il bianco del muro di fronte.
la sagra della porchetta di roma
21 ore fa
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