martedì 30 giugno 2009

trentaseiduemilaenove

mal d'africa. patatine fritte mangiate fredde, con le mani unte, e toccarsi la faccia. patrizio è un vecchio magro che non so come ogni tanto finisce a cena in taverna, con noi. ha vissuto quarant'anni in germania, lavorava in una fabbrica di automobili. è gentile e non bestemmia, e mi piacerebbe essere più cortese ma proprio non ce la faccio. mi metto le mani tra i capelli, sul collo sudato. guardo il muro con lo sguardo miope. potrei guardare qualsiasi cosa tranne cosa? l'aria è troppo appiccicosa, addormenta le gambe, i suoi sorrisi paonazzi. non riesco a tenergli lo sguardo addosso. lui racconta di quel pomeriggio in barca fuori porto garibaldi, non capisco come possa accartocciare le guancie a quel modo, e forzarsi ilare e vitale mentre io l'ascolto assente, la bocca dritta, in piedi sgraziata vicino al camino. i vestiti di casa. le ciabatte del milan che non si rompono mai, non si buttano mai via. voglio andarmene. dico: sinceramente non credo di voler ascoltare queste cose. poi mi siedo sul divano, fisso a casaccio il legno delle perline. credo che lui abbia capito, le guancie gli si appiattiscono e ha finalmente uno sguardo normale, interrogativo e adatto alle circostanze. mi volto leggermente e fingo ancora di guardare la tv, che però è girata. non importa. mi tremano le labbra e mi concentro sul televisore girato, su quello che non vedo. striscia la notizia. quando ho la certezza di stare per incominciare a piangere mi alzo, me ne vado camminando lenta, cercando di non farmi troppo notare. esco dalla taverna, salgo le scale e respiro. le mani ancora in faccia. mal d'africa.