lunedì 25 ottobre 2010

lei


È nata su un isola in mezzo al fiume, ed è cresciuta in una casa grande e povera, regolarmente allagata dalle piene. Legata ad una gamba del tavolo, in cucina, stava fissa e pronta all’uso una barchetta di legno. Suo padre l’ho conosciuto poco, ero troppo piccola per ricordare: lei, di lui, ricorda sole le sigarette arrotolate a mano. Sua madre è morta prima che io nascessi, e non so nulla di lei. O meglio: so solo che era alcolizzata, e che “per una donna non sta bene bere”. Il giorno del suo matrimonio, vestita da sposa, dopo aver attraversato il fiume ha camminato assieme al fratello per tre chilometri, nella polvere della strada, nell’umidità dell’argine, per arrivare sudata all’altare.
Lei si chiama Bruna ed è mia nonna, e io non riesco nemmeno a immaginare se sia triste o felice. Vedo i calli sulle sue mani secche, le vene azzurre e grosse delle gambe, strette nelle calze a pressione. Sento la sua voce amara, quando fuori dalla chiesa, alla zingara che domanda una moneta, risponde tra i denti: “A me non mi ha mai dato niente nessuno”.
È stata una donna molto bella, e ora non vuole farsi fotografare.

giovedì 31 dicembre 2009

novembre lontanissimo


Sabato pomeriggio io e Francesco pedaliamo fino alla spiaggia. Io con la graziella blu, lui con la mountain bike cigolante che mio nonno ha raccolto dal fosso, e che ha aggiustato in qualche maniera. Arriviamo in riva al mare e prendiamo il sole in faccia. Ci sediamo anche sugli scogli, per fumare una sigaretta e fare un giro di briscola. Perdo perché mi distraggo a guardare le onde. Sono convinta di aver visto salire la marea.
Ci avviciniamo di nuovo al bagnasciuga, e vorrei fargli vedere i buchetti a forma di 8 lasciati nella sabbia dalle cape lunghe, le canocchie in italiano, credo. Cammino piegata a scrutare, ma non ne trovo nemmeno uno. Solo dopo, a casa, parlerò della cosa a mio nonno, e mi spiegherà che le cape lunghe della spiaggia sono tutte morte. Non si sa perché.
Invece dei buchi a forma di 8, trovo tanti mucchietti di sabbia bagnata arrotolata, segnalano la presenza dei vermi di mare. Animali brutti. Con Francesco decidiamo di cercare i granchi, e io mi dichiaro: sono un abilissima cacciatrice, ma non ne troviamo neanche uno, neppure di quelli. Avranno freddo?
Stiamo tornando alle bici quando si avvicinano correndo due cani, che ci sorpassano per buttarsi in acqua e poi strizzarsi e rotolare. Sono grossi e io ho paura, quindi tengo lo sguardo fermo sui miei granchi scomparsi e spero che i cani non mi considerino viva.

tra natale e l'ultimo


Vorrei pubblicare prima di morire. Non nel senso che vorrei pubblicare almeno una volta nella vita, ma nel senso proprio che vorrei pubblicare da vecchia, e poi morire. Non vorrei fare l'autore, che si esprime fuori dai suoi libri.
Per ora passo il tempo ipnotizzata dalle lucine intermittenti dell'albero di natale.


lunedì 16 novembre 2009

collezione di tempo mangiato 3

piadina alla nutella



le dixie



gnocchi alla romana

domenica 15 novembre 2009

running to stand still

Ieri avevo tutto in testa e lo volevo scrivere, ma stavo cucinando lo sformato di patate e attendevo amici per cena: niente da fare. Ora è domenica mattina e ricordo forse la metà di quello a cui ho pensato ieri, nel galleggiare distratto di quando grattuggiavo il formaggio e tritavo le carote. Non che fosse granchè poi, il pensiero. Che lo sformato invece era buono.
E'una settimana che ascolto canzoni sentimentali e popolari. Recupero i classici e le ballate, i pezzi lenti e commoventi e le canzonette tardoadolescenziali. Non mi arrendo di fronte a niente, e dopo esser passata attraverso Vecchioni e Mietta, e i Lunapop e Ivan Graziani, e altri e altri ancora, sono arrivata a una vecchia cassetta degli U2, un misto di vari album che una volta ascoltavo prima di addormentarmi, quando ero sedicenne e triste. Ho ritrovaro una delle canzoni preferite della mia autocommiserazione: Running to stand still. Ho sempre ignorato il testo, mi bastava il titolo. Ieri l'ho riascoltata, indaffarata in cucina e credo serena, e mi sono resa conto di quanto poco sia cambiato in me rispetto quei tempi. Stessa autocommiserazione piagnucolosa, stesso sentimento di impotenza e vigliaccheria. Probabilmente ragiono in questi termini perchè si appresta capodanno (o la tesi, ma preferisco pensare a capodanno), ed evidentemente ho bisogno di metabolizzare, mandare giù qualcosa. L'altro ieri mattina ero stanca e acida di vino cattivo, non volevo studiare e mi sono ritrovata a sistemare la posta del 2005. Leggiucchiavo qua è là e brani di lettere, archiviando e ordinando. Ho riscoperto cose che non ricordavo, e soprattutto un commento di Dario, un amico che non frequento più da quella volta, e che mi scriveva: tanto lo so che cadi sempre in piedi. E' anche banale, ma aveva ragione allora, e oggi pure e probabilmente avrà ragione per sempre: cado in piedi, ma non so più mi basta.
Ci sono alcune cose in cui credo: credo che non bisogna essere tutti artisti, che non sia naturale. Credo che non per forza si abbia qualcosa da dire. Credo che l'ambizione intellettuale nasconda il più delle volte il bisogno di essere riconosciuti e apprezzati, e che gli sforzi di molti in questa direzione siano motivati alla base da esigenze più basse e viscerali, siano implicite richieste di attenzione. Credo che per raggiungere il protagonismo siano necessari dei compromessi a cui non intendo partecipare, credo di non avere bisogno di gratificazioni di questo tipo e di poter vivere serena e forte e bastante a me stessa. Giuro, credo a tutto questo, eppure ho paura di mentire. Ho paura di usare questi punti fermi per vietare a me stessa di osare, di rischiare. Me la caverò sempre, e cadrò sempre in piedi come scriveva Dario. Ma è questo quello che voglio? Ogni tanto mi sento semplicemente troppo spaventata e vigliacca per affrontare i miei desideri e il mondo. Sto correndo ma rimango ferma, mi affatico e passano i giorni, ma non cambia mai nulla dentro me, perchè non riesco e forse non voglio impegnare me stessa in sfide troppo grandi. Ho paura di perderle, e di dovermi ricostruire da zero. Prima o poi dovrò affrontare questo nodo: sedermi e pensare.

giovedì 8 ottobre 2009

Lo sapete che quando scendo le scale i miei passi fanno rumore?
Siamo tutti incredibilmente vivi.