domenica 15 novembre 2009

running to stand still

Ieri avevo tutto in testa e lo volevo scrivere, ma stavo cucinando lo sformato di patate e attendevo amici per cena: niente da fare. Ora è domenica mattina e ricordo forse la metà di quello a cui ho pensato ieri, nel galleggiare distratto di quando grattuggiavo il formaggio e tritavo le carote. Non che fosse granchè poi, il pensiero. Che lo sformato invece era buono.
E'una settimana che ascolto canzoni sentimentali e popolari. Recupero i classici e le ballate, i pezzi lenti e commoventi e le canzonette tardoadolescenziali. Non mi arrendo di fronte a niente, e dopo esser passata attraverso Vecchioni e Mietta, e i Lunapop e Ivan Graziani, e altri e altri ancora, sono arrivata a una vecchia cassetta degli U2, un misto di vari album che una volta ascoltavo prima di addormentarmi, quando ero sedicenne e triste. Ho ritrovaro una delle canzoni preferite della mia autocommiserazione: Running to stand still. Ho sempre ignorato il testo, mi bastava il titolo. Ieri l'ho riascoltata, indaffarata in cucina e credo serena, e mi sono resa conto di quanto poco sia cambiato in me rispetto quei tempi. Stessa autocommiserazione piagnucolosa, stesso sentimento di impotenza e vigliaccheria. Probabilmente ragiono in questi termini perchè si appresta capodanno (o la tesi, ma preferisco pensare a capodanno), ed evidentemente ho bisogno di metabolizzare, mandare giù qualcosa. L'altro ieri mattina ero stanca e acida di vino cattivo, non volevo studiare e mi sono ritrovata a sistemare la posta del 2005. Leggiucchiavo qua è là e brani di lettere, archiviando e ordinando. Ho riscoperto cose che non ricordavo, e soprattutto un commento di Dario, un amico che non frequento più da quella volta, e che mi scriveva: tanto lo so che cadi sempre in piedi. E' anche banale, ma aveva ragione allora, e oggi pure e probabilmente avrà ragione per sempre: cado in piedi, ma non so più mi basta.
Ci sono alcune cose in cui credo: credo che non bisogna essere tutti artisti, che non sia naturale. Credo che non per forza si abbia qualcosa da dire. Credo che l'ambizione intellettuale nasconda il più delle volte il bisogno di essere riconosciuti e apprezzati, e che gli sforzi di molti in questa direzione siano motivati alla base da esigenze più basse e viscerali, siano implicite richieste di attenzione. Credo che per raggiungere il protagonismo siano necessari dei compromessi a cui non intendo partecipare, credo di non avere bisogno di gratificazioni di questo tipo e di poter vivere serena e forte e bastante a me stessa. Giuro, credo a tutto questo, eppure ho paura di mentire. Ho paura di usare questi punti fermi per vietare a me stessa di osare, di rischiare. Me la caverò sempre, e cadrò sempre in piedi come scriveva Dario. Ma è questo quello che voglio? Ogni tanto mi sento semplicemente troppo spaventata e vigliacca per affrontare i miei desideri e il mondo. Sto correndo ma rimango ferma, mi affatico e passano i giorni, ma non cambia mai nulla dentro me, perchè non riesco e forse non voglio impegnare me stessa in sfide troppo grandi. Ho paura di perderle, e di dovermi ricostruire da zero. Prima o poi dovrò affrontare questo nodo: sedermi e pensare.

3 commenti:

lillo ha detto...

qualcuno molto più saggio di me potrebbe dirti che a volte è bello anche cadere, perchè c'è più gusto nel rialzarsi... ma in fondo a chi è che piace cadere?? si deve essere molto masochisti per guardarsi il ginocchio sbucciato e sorridere... si tenta e basta...

sergio pasquandrea ha detto...

regola numero uno: quando è buio, MAI pensare a cose come il futuro, il dovere, i propri progetti, la propria esistenza o il senso della vita.
dal tramonto in poi, sono ammessi solo pensieri edonistici.

tizi ha detto...

complimenti, per quello che scrivi, per la tua sincerità.