lunedì 21 aprile 2008

kebab

La luce entra gialla nella stanza. Sacra luce di primavera quando la primavera deve ancora arrivare. La migliore luce di primavera. Scende attraverso i vetri sporchi e mi tocca la faccia. E' la grazia divina, immobile e benevola.
Il ragazzo pakistano si è ritirato in cucina dopo avermi preparato il kebab. Sono sola, io e la luce gialla sui muri gialli. Siedo su uno sgabello zoppo e mangio.
Un boccone dopo l'altro. Patatine fritte e maionese.
Maionese e ketchup.
Salsa rosa.
La luce gialla sui muri gialli ha il sapore della salsa rosa.
Un boccone e ancora uno. Carne e spezie bizantine.
Insalata.
Carne.
Sono felice di una felicità rotonda come questo panino e non ho bisogno di nient'altro che della luce e della carne.
Un boccone lento dopo l'altro, e la musica. La cantante attorciglia parole impossibili. Musica orientale limpida e densa come questo momento, che si staglia netto tra i giorni migliori e i giorni peggiori, immerso nella profondità subacquea delle quattro del pomeriggio. Guardo fuori dalla finestra, soddisfatta come un pesce. I tigli si scuotono nel cielo con lentezza, alghe nella corrente.
Guardo le pareti. Ritagli di giornale appiccicati col nastro adesivo. Volti di giovani indiane, gli occhi neri neri che sorridono. I capelli lunghi intrecciati. Tre volti. Non i corpi, solo i volti. I ritratti tagliati alle spalle. Penso a quanto sia diversa l'iconografia pubblicitaria occidentale, alle pance nude tirate di Calvin Klein, agli sguardi lividi, alla pelle fredda e esposta, all'indifferenza luttuosa di certi occhi.
Una di queste ragazze sorride proprio davanti al mio naso.
E' giusto.
Io sono felice e lei sorride.

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