domenica 20 aprile 2008

in treno

pensieri scomodi, di spalla slogata e lo spazio bianco che crea sempre quel tanto di insicurezza che basta. tante immagini dietro gli occhi, alcune talmente lontane (e il tempo passa così lento e profondo, come un fiume alla foce - paragone banale ma tant'è - che sono passate solo 7 8 9 settimane) e già perse. persa la vividezza. il colore. specie di quelle pance nude e tirate che ho visto in treno. ne ho vista una in autunno e una in inverno. pance di ragazze che si tendono verso valigie sospese sopra le teste dei viaggiatori, e si scopre la carne così. un momento di carne in mezzo ai piumini e le sciarpe, i volti pallidi e le occhiaie dei pendolari. non so cos'ho capito da quei due momenti, e può pure darsi non abbia capito nulla (senza retorica), fatto stà che sono rimasta ferma a guardare la pelle nuda tutto il tempo (lunghissimo), e ora sto coperta anch'io e grazie a dio di stracci viola azzurro e jeans. mi faccio ridere le palle, come direbbe domenico scandendo bene le sillabe, lasciandole cadere al suolo come sassi.
non scrivo mai. ci sarà un motivo? e le volte che scrivo mi sputo addosso (come sto facendo ora), mi giro e mi rigiro sui miei passi. questa è la danza del serpente che viene giù dal monte, per ritrovare la sua coda che egli perse un dì. (buon titolo per un libro, nonostante il vago sapore allegorico nietschiano) (e mi scuso ma l'istruzione non sempre è cosa buona e giusta). non scrivo perchè non ho niente di proficuo da comunicare, e allora forse scriverò male sbeffeggiando grafie e punteggiature. scriverò statica senza comunicare nulla a nessuno.
ho visto tante cose ultimamente. sarà che spesso sono sola (sempre in mezzo ai 16.000 iscritti a lettere e agli altri migliaia di decinaia di migliaia di iscritti a qualsiasi altra facoltà, partito preso, alternativa di vita possibile e impossibile), o che spesso non sono ufficialmente da sola ma la mia interazione si rinchiude lo stesso avvilita su sè stessa e nella torsione con cui mi lacero le mani (che non so dove mettere). le guardano tutti le mie mani. tutti quelli con cui non sono. forse sono l'unica cosa che emerge dalla mia assenza. dita che torcono pieghe di pelle sulle nocche, slavate e ingobbite squamose come il dorso del coccodrillo.
ho le mani a coccodrillo.
non ci avevo mai pensato, ma non mi ripugna. è quasi simpatico anzi (ma forse è solo un moto d'orgoglio difensivo).
insomma mi aggiro per le aule di via zamboni e guardo la gente. ma guardarla troppo non sta bene, e allora ogni tanto guardo il soffitto che sembro un asceta della pausa caffè. sigaretta in una mano (coccodrillo) e biccherino di plastica nell'altra (mano coccodrillo) sospesa nell'estasi della parete increspata. dopo un po' neanche l'ascesi sta bene, e allora continuo a guardare la gente, che forse è più normale. magari maleducato ma normale (nor-male non-male). ho visto pantaloni cascanti e ciuffi ascendenti, praticamente una composizione in diagonale di gente diagonale. ovvero: semovente. perchè una diagonale per quanto ricca di espressività dinamica rimane una linea messa lì, e perchè le persone per quanto agitate stanno pur sempre bevendo un caffè.
io piantata in mezzo alle diagonali a meditare osservando i tubi ciccioni che escono dal soffitto. non ho voglia di scrivere del vuoto rotolante di certe menti, che tante certe cose si sanno, e soprattutto non mi motivano abbastanza. difatti non descrivo. o sì? potrebbe essere una via di mezzo accettabile la descrizione-trascrizione-documento? ho trovato: non le descrivo ma le testimonio (fatto!). insomma vedo tante cose.

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