giovedì 1 maggio 2008

la pesca dei tonni

E' quasi ora di cena. Il soggiorno è in ombra ma sulla tavola apparecchiata piove il sole dal lampadario. Uno di quegli oggetti che si trascinano di casa in casa, e che non riescono mai a sentirsi a loro agio. Una grande scodella di vetro opaco e un bordino di plastica rossa, un sostegno a spirale dovrebbe regolarne l'altezza, ma non l'ho mai visto contratto. Sempre appeso molle e rilassato, per nulla integrato agli altri mobili della cucina.
E'una serata allegra. Di quelle in cui facciamo finta di interessarci agli altri, in una famiglia che di familiare ha forse giusto l'odore di polvere di mio padre, quando torna dal lavoro. Ci interroghiamo in domande di cui non ascolteremo le risposte, per farci contenti. Ma non sono importanti le risposte. Siamo tutti consapevoli dell'artificiosità del meccanismo, e tutti entusiasti comunque. La sincerità non è necessaria quanto l'impegno.
La televisione è accesa, trasmettono un servizio sulla pesca dei tonni in Giappone. Sale la nonna dalle scale, saluta e appoggia le pentole che regge in mano. Ogni sera lei sale con le pentole e ogni tanto sono vuote ma più spesso ci si trova dentro la cena. Adesso è ora di cena. Con una lama i pescatori giapponesi aprono il fianco di un tonno. Orgogliosi mostrano alla telecamera le carni nere del pesce. Nere. Mia nonna non si capacita di quel colore e la sua meraviglia mi piace, me la fa sentire più vicina. Di solito le sue parole rotolano affaticate e amare. Si può avere una nonna amara? Ecco che gli attimi in cui spalanca gli occhi ed esclama diventano preziosi. Un punto esclamativo infantile invece dei soliti puntini di sospensione, invece di quel punto fermo che nella sua bocca rimbomba freddo, perentorio come una condanna a morte. E magari sta solo commentando il tempo.
Mio papà è pescatore e dice che è normale che quelle carni siano nere. Io gli domando come mai nelle scatolette diventino rosa. E glielo chiedo per avere una risposta. Potrebbe essere la solita domanda spintarella, inventata lì per lì solo per farlo parlare, farlo sentire bene, e invece io voglio sapere come mai i tonni cambiano di colore. Lui mi guarda, alza le spalle e allarga le braccia ma come trattenendosi. Dura meno di niente la sua espressione, una sorta di vago sbuffo d'impazienza, e si pone esattamente a metà tra il "non ne ho idea" e il "come non lo sai?", indecifrabile.
Rinuncio a qualsiasi altra spiegazione. Ci sediamo sotto il lampadario, nella luce, a mangiare.

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